Autodafè Europa
Dalla Romania alla Germania, passando per la Francia. Storia di come l'Europa rischia di farsi del male sul serio. Da sola.
Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 112 - 4 maggio 2025
Nella newsletter di oggi avrei voluto parlare di un personaggio, a mio modo di vedere, unico nella sua storia e nella sua significatività. Un testimone della sfida dell’intelligenza artificiale, del beneficio dei flussi migratori, della possibilità di ascendere socialmente e della partita apertissima tra USA e Cina sui microchip.
Avrei voluto parlare di Jen-Hsun Huang, founder di Nvidia, passato da pulire i bagni del suo ostello per pagarsi le spese universitarie ad avere un patrimonio personale di oltre cento miliardi di dollari.
Ma lui tornerà nelle prossime newsletter, promesso.
La scena della settimana, invece, è stata rubata dal serio tentativo europeo di farsi ancora una volta del male.
Questa volta accade in Germania, dove, venerdì, l’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione (BFV), ossia i servizi segreti interni del paese, hanno indicato il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) come “organizzazione estremista che mette in pericolo la democrazia”.
Prima le motivazioni.
Secondo quanto riferito dall’agenzia, le posizioni manifestate dal partito e dai suoi funzionari, anche durante l’ultima campagna elettorale, indicano che AfD vuole “escludere le persone immigrate in Germania e i loro discendenti dalla piena partecipazione alla società, assegnare loro uno status legale inferiore rispetto al resto della popolazione e sottoporli a discriminazioni che violano le norme costituzionali”.
L’anno scorso c’erano state vaste manifestazioni contro il partito in moltissime città tedesche, in reazione a un’inchiesta giornalistica che aveva rivelato lo svolgimento di una riunione segreta fra membri di AfD e di movimenti neonazisti tedeschi per discutere di un piano di espulsioni su larga scala delle persone richiedenti asilo, di immigrati con permesso di soggiorno e anche di cittadini tedeschi di origine straniera.
La valutazione dell’Ufficio non costituisce di per sé una richiesta né un ordine di scioglimento per AfD, ma il parlamento tedesco potrebbe usarla per chiederlo.
Il partito potrà continuare a operare a livello nazionale e statale.
Per abolire un partito è necessario che il parlamento (sia il Bundestag, la camera bassa, che il Bundesrat, la camera alta) o il governo federale facciano richiesta alla Corte costituzionale. Questa dovrebbe poi esaminare il caso, avviando un lungo processo.
Alle ultime elezioni tedesche AfD ha ottenuto il voto di quasi dieci milioni di cittadini tedeschi, diventando il secondo partito più votato, dopo l’Unione Cristiano-Democratica (di centrodestra) e prima dei Socialdemocratici.
Il 30 marzo Marine Le Pen è stata condannata a 4 anni di carcere per appropriazione indebita di fondi UE. Ma soprattutto è stata resa ineleggibile per cinque anni.
Una misura quantomeno piuttosto severa - soprattutto in quanto trattasi di una pronuncia di primo grado, quindi modificabile nei successivi gradi di appello - con cui il tribunale impedirebbe alla Le Pen la candidatura alle prossime elezioni presidenziali francesi.
Mancano due anni alle elezioni e il Rassemblement National non è mai stato così popolare; è stato il partito più votato alle elezioni legislative dell’anno scorso.
Infine, nel dicembre dello scorso anno, la Corte Costituzionale della Romania – composta di nove membri tutti nominati dal potere politico, cioè dai presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato – ha annullato, a 48 ore dal ballottaggio fra i due candidati più votati al primo turno, le elezioni per eleggere il nuovo Presidente. Calin Georgescu, candidato rumeno di estrema destra populista e molto vicine alle posizioni putiniane, era stato il vincitore a sorpresa del primo turno delle elezioni presidenziali rumene tenute il 24 novembre.
A giudizio della Corte, sulla base di “note informative del Ministero dell’Interno” del Governo socialdemocratico, sono stati riscontrate tracce di gravi interventi esterni – cioè russi – volte a manipolare l’opinione degli elettori. O, per dirla con le parole stesse contenute nel documento ufficiale, è stato rilevato “un uso non trasparente della tecnologia digitale”, dato che “l’esposizione significativa di un candidato ha portato alla riduzione direttamente proporzionale dell’esposizione mediatica online degli altri candidati nel procedimento elettorale”.
La potenziale ricaduta di queste argomentazioni sul futuro della democrazia nei Paesi occidentali è largamente intuibile.
Se infatti, in un’epoca in cui cresce di continuo il numero di coloro che, per informarsi, ricorrono a internet, ai social network e alle “reti sociali”, per loro natura incontrollabili – a meno di non introdurre censure a loro volta stigmatizzate, giustamente, nei paesi liberali – ed il favore degli influencers per un determinato candidato o partito o l’esponenziale aumento della sua visibilità causato dalla logica degli algoritmi dovesse essere considerato un fattore sufficiente a invalidare un’elezione, c’è da scommettere che nei prossimi anni o decenni di elezioni valide ne avremmo ben poche o nessuna.
Dopo l’abolizione del ballottaggio, l’indizione di nuove elezioni, l’arresto con accuse gravi dell’interessato (e l’immediato rilascio), e infine l’esclusione della candidatura, i sondaggi davano Georgescu in crescita al 40 per cento. Per lui sono scese in piazza 300mila persone arrabbiate, alle quali egli ha dovuto implorare di restare calme.
Oggi si vota in Romania e nei sondaggi fino a ieri era primo George Simion, il leader ultranazionalista dell’Alleanza per l’unità dei romeni (AUR) che ha preso il posto di Georgescu come candidato dell’estrema destra.
Alice Weidel di AfD, Marine Le Pen del Rassemblement National e Călin Georgescu dell’Alleanza per l’unità dei romeni (AUR).
Cosa lega questi tre politici?
Le tre diverse decisioni che abbiamo sopra elencato aprono un dibattito a suo modo molto interessante che si lega al tema europeo già affrontato nell’ultima newsletter.
In questo caso, più che del futuro dell’Europa, al centro vi è l’intento potenzialmente suicidario che queste tre storie, a loro singolo modo, contengono e potrebbero far deflagrare.
In parole molto semplici e chiare, impedire a un candidato di competere alle elezioni perché filorusso, come sta avvenendo in Romania, non ha nulla di democratico. Un candidato con idee non condivisibili, urticanti, estremiste non può per questo esser eliminato dalla contesa politica del suo paese. Quando questo accade, sono le istituzioni di questo o quel paese a smettere di essere democratiche, non il candidato filorusso.
La democrazia si difende nelle urne, non dalle urne.
In Germania come in Romania, passando dalla discussa decisione della magistratura francese nei confronti di Marine Le Pen, viene esemplificato il rischio più importante della democrazia, ovvero la perdita della sua credibilità e della sua efficacia come sistema ottimale di gestione di uno Stato.
Questo rischio diventa enorme quando davanti si pone chi suppone non ami i principi “democratici” e, nonostante questo, riscuota l’apprezzamento - ed il voto - di milioni di persone.
“La decisione di destituire un eletto dovrebbe spettare al popolo” ha affermato Jean-Luc Mélenchon, il più acerrimo nemico di Marine Le Pen.
Intendiamoci. Al Front National (oggi divenuto Rassemblement National) è servito impiegare nel lavoro quotidiano sul territorio francese un certo numero di propri militanti pagati dall’Europarlamento per fare da assistenti dei deputati all’assemblea di Strasburgo. L’illecito è quindi difficilmente contestabile. E’ ancor più vero come la legge per la quale è stata condannata, è stata voluta e difesa proprio da Marine Le Pen, la quale proponeva addirittura di trasformare la condanna all’ineleggibilità da temporanea a permanente nei casi in cui il reato commesso avesse comportato un arricchimento personale del condannato o una tangente illegale concessa al partito in cambio di favori.
Stabilito ciò, il dato che rende inequivocabilmente politica la sentenza è la decisione di rendere immediatamente esecutiva la pena comminata, aggravato dalle motivazioni che i tre giudici hanno addotto a sostegno della loro scelta: il “fondato rischio” di una reiterazione del delitto e il “grave rischio di turbativa della vita pubblica” nel caso in cui la condannata fosse rimasta in libertà ed avesse potuto presentarsi alla prossima elezione presidenziale.
Ora, chi mai potrebbe immaginare che, all’indomani di una condanna così pubblicizzata, la più accreditata candidata alla conquista dell’Eliseo avrebbe continuato a perpetrare l’illecito di cui le si è fatto carico (e che peraltro non si è più verificato a partire dal 2014)?
E quanto alla seconda illazione, non è forse vero che a turbare la vita pubblica è semmai l’eliminazione per via giudiziaria di una pretendente alla presidenza della Repubblica che ha già ora dalla sua il sostegno di oltre un terzo dell’elettorato, piuttosto che la sua partecipazione a quell’elezione?
Il dilemma che si manifesta periodicamente sulla scena politica da oltre un secolo è il rapporto fra legalità e legittimità in ambito politico. Con la prima dettata e garantita da un sistema di norme e la seconda dall’indicazione popolare e dal voto.
Da persona amante della liberaldemocrazia, il mio enorme timore è quello di veder picconato, tramite questi tre provvedimenti, il criterio della legittimità, divenuto - sembrerebbe - particolarmente sgradito alle istituzioni giudiziarie e politiche di Paesi formalmente democratici che si trovano improvvisamente di fronte al crescente consenso di inattesi outsiders (tipicamente bollati dell’etichetta squalificante di estrema destra).
La Corte rumena, nelle motivazioni della sua sentenza, ha spiegato come il suo intento sia quello di “rafforzare la resilienza degli elettori, anche attraverso la sensibilizzazione dell’elettorato all’uso delle tecnologie digitali nelle elezioni, in particolare attraverso la fornitura di informazioni e sostegno adeguati”.
La Corte, tuttavia, non ha precisato espressamente “chi” debba fornire queste “informazioni” agli elettori e quando il “sostegno” debba considerarsi “adeguato”. Dettagli di non secondaria importanza.
La storia degli ultimi cinque anni è ricca di battaglie legittime e sacrosante nel loro principio, risultate però perdenti a causa della scellerata e arrogante scelta dei mezzi e degli strumenti con cui gli alfieri di quelle battaglie hanno deciso di combatterle.
Pensiamo all’ampliamento dei diritti per le persone omossessuali e trans, alla transizione energetica, alle discriminazioni etniche e sessuali, il cambiamento climatico. Financo il rapporto tra uomo e donna e il necessario riequilibrio sociale e professionale dei loro ruoli.
Tutte sfide enormi, vitali, giuste nel loro nucleo fondamentale. Ma risultate perdenti e impopolari perché combattute con l’arma della propaganda, della mistificazione, della criminalizzazione di ogni pensiero minimamente critico rispetto al pensiero dominante.
L’ultima elezione di Donald Trump, in questo senso, è perfettamente esemplificativa.
Tutte sfide perse perché combattute con l’ideologia, un mantello che seduce con l’omologazione e la falsa rassicurazione di essere “dalla parte giusta della Storia”.
La democrazia è tutt’altro. La democrazia è scontro aperto di idee, è Rousseau, l’Illuminismo.
A scanso di equivoci, non voglio criminalizzare il principio di legalità, l’importanza del rispetto delle regole e dello Stato di diritto. Il sacrosanto fulcro di uno Stato che è la Costituzione.
Tuttavia, quando si interviene nell’esercizio del voto popolare, in tempi che vedono elevatissimi tassi di astensionismo e un’enorme disaffezione dagli strumenti e dalle ritualità democratiche, è bene operare con il bisturi e non con la motosega.
E’ bene intervenire punendo condotte individuali, pensandoci molto bene prima di sottrarre una rappresentanza politica a oltre dieci milioni di persone, come successo in Germania (un paese storicamente molto rappresentativo..).
Io credo che se questi comportamenti diverranno la regola, la riduzione della democrazia a puro esercizio lessicale avrà fatto un altro decisivo passo avanti e le minacce di un nuovo autoritarismo, celato sotto il pretesto della lotta del “libero Occidente contro le minacce “illiberali”, potranno dispiegarsi questa volta liberate non da chi si credeva di combattere, ma proprio da coloro che si erano intestati di combatterle.
I write The Fulcrum — strategic intelligence from the crossroads of empire. Central Asia, rare earths, reserve currencies, and what happens after American hegemony. No hype. Just hard analysis, grounded in history.
🧭 Latest piece: “America’s Suez Moment? China’s Rare Earth Chokehold and the Illusion of Technological Dominance”
https://open.substack.com/pub/lettersfromcentralasia/p/americas-suez-moment?r=5gu5ye&utm_campaign=post&utm_medium=web&showWelcomeOnShare=false
Ciao Alfredo e grazie per l'apprezzamento della newsletter!
Qualcuno diceva che una democrazia disinformata produce danni peggiori di una dittatura illuminata. Un'affermazione forte, ma che coglie anche il senso del tuo messaggio ovvero che la qualità di una democrazia - e la sua efficacia-efficienza - passa anche per la qualità dell'informazione di chi contribuisce a far vivere quella democrazia: noi elettori tramite l'esercizio del diritto di voto.