Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 125 - 20 luglio 2025
Oggi voglio prima di tutto ringraziare i tantissimi che si sono iscritti questa settimana a questa newsletter. La vostra fiducia, la vostra attenzione mi stimolano a proseguire questo progetto con sempre più entusiasmo e dedizione.
Da qualche mese abbiamo inserito la rubrica quotidiana “First Light Brief” che cerca di raccontare il mondo che evolve giorno per giorno.
Altri progetti sono nella mia testa e solo la vostra fiducia - e le vostre preziose donazioni - mi consentiranno di perseguirli e di realizzarli.
Un grazie sincero ad ognuno di voi.
Nella newsletter di oggi voglio provare ad interrompere il “classico” genere di contenuti delle ultime settimane con l’intento - umilissimo - di provare a mutare il “senso comune” oggi predominante, ovvero lo schema mentale, gli occhiali, con cui ciascuno di noi è indotto a interpretare, a ritenere giuste, a fare certe cose invece di altre.
Per senso comune si intendono i modelli e le predisposizioni mentali, le credenze, i convincimenti, gli schemi (frame) che fanno vedere a ogni persona certi aspetti, problemi e fenomeni e non vederne altri.
Questi schemi ci orientano istintivamente nel formare valori e convinzioni morali, ossia ciò che tendiamo a ritenere “giusto” – un dato fatto “incorniciato” diversamente implica giudizi diversi – e dunque a fare certe cose invece di altre.
Quello che viviamo attualmente è un periodo storico molto complesso. Il ritorno delle guerre, l’uscita da una crisi pandemica che non ha ancora esaurito i suoi effetti dannosi, soprattutto a livello psicologico, le preoccupazioni economiche che sempre più frequentemente assillano la nostra quotidianità.
Il tutto con l’aggravante di un contesto informativo e di social media che, offrendo un distorto quanto strumentale intrattenimento, saturano del tutto la nostra lente di ingrandimento e la rendono opaca.
Facciamo fatica talvolta a comprendere realmente ciò che accade intorno a noi. Il più delle volte ne veniamo sopraffatti, percependo sentimenti di ansia e inquietudine.
Due dati fotografano questa situazione: il 29% degli americani ha una diagnosi medica da “depressione cronica”; stiamo parlando di oltre 100 milioni di persone. E dall’altro lato, sull’aspetto economico e sull’enorme tema delle disuguaglianze, si pensi come nel paese più ricco d’Europa, la Germania, più di un quarto dei tedeschi con meno di 25 anni è a rischio povertà. Secondo un sondaggio svolto tra i giovani tedeschi più del 67 per cento teme la povertà.
A fronte di questi dati e di questo contesto, tuttavia, non tutto può definirsi perduto e irrimediabile. E sta proprio quì il punto.
Come spiegano Fabrizio Barca e Alessia Zabatino nel loro report “Squarci”, ciò che manca dannatamente nella nostra quotidianità è il racconto della felicità, delle cose che funzionano e che vanno bene; è carente una narrazione alternativa a quella maggioritaria, che ci accompagni nell’idealizzazione di un’utopia o anche di una “semplice” eutopia (dal greco "eu-topos" (luogo buono), ovvero un mondo ideale ma realizzabile, un posto "bello e possibile".
Negli ultimi anni abbiamo letto e visto bombardamenti terribili, morti e distruzioni. Dall’Ucraina allo Yemen, dal Sudan a Gaza e in Israele.
Siamo invasi a tutte le ore da immagini terribili che non vedevamo da decenni nei nostri telegiornali e nei nostri cellulari. E mentre questi contenuti arrivavano sulle nostre piattaforme, davanti ai nostri occhi, è via via scomparso il racconto alternativo della speranza, della fiducia, dell’ottimismo.
Il risultato è che negli ultimi anni abbiamo ascoltato e percepito, dai social, dalle tv, dai mezzi di informazione, un’unica narrazione prettamente negativa ed allarmata, talvolta eccessivamente (basti pensare ad alcuni toni utilizzati sull’emergenza climatica).
Allora il mio intento di oggi è quello di raccontarvi brevemente due casi e una storia, a loro modo esemplari di come il cosiddetto negativity bias, il pregiudizio di negatività, possa essere eradicato tramite la ricerca di dati, notizie e storie che sovvertano il sentimento maggioritario e lo ribaltino addirittura, affermando che è possibile - anche oggi - nel bel mezzo delle guerre, raccontare e parlare di felicità, di storie positive e rigeneranti.
Raccontare che non è tutto perduto.
La prima storia parla della narrazione che ha accompagnato forse la più importante novità tecnologica degli ultimi dieci anni: l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa (LLM).
Fin dai primi momenti, invece di attendere, informarsi e comprendere l’estensione e gli usi potenziali di questa nuova e dirompente tecnologia, sono iniziate le profezie di sventura, le analisi su come l’AI sostituirà l’uomo, lo renderà povero, disoccupato, solo e infelice.
Proprio a tal proposito, il Time (n. 7/2025) ha raccontato come un team di medici del Centro di fertilità della Columbia University, utilizzando un tool di intelligenza artificiale, ha permesso ad una donna di rimanere incinta dopo diciannove anni di vani tentativi.
La coppia si era sottoposta a diversi cicli di fecondazione in vitro, visitando centri di fertilità in tutto il mondo nella speranza di avere un bambino. Tuttavia, questi tentativi di fecondazione in vitro non hanno avuto successo a causa dell'azoospermia, una condizione rara in cui non sono presenti spermatozoi misurabili nel liquido seminale del partner maschile, che può portare alla sterilità maschile.
Si pensi che un campione di liquido seminale tipico contenga centinaia di milioni di spermatozoi, ma gli uomini affetti da azoospermia hanno un numero così basso che non è possibile trovare spermatozoi, anche dopo ore di meticolosa ricerca al microscopio.
Il metodo inventato dal Dr. Zev Williams e dal suo team medico si chiama STAR (acronimo di Sperm Tracking and Recovery, ovvero tracciamento e recupero degli spermatozoi) e utilizza l'intelligenza artificiale per aiutare a identificare e recuperare lo sperma nascosto negli uomini che un tempo pensavano di non averne affatto.
Tutto ciò che il marito ha dovuto fare è stato lasciare un campione di sperma al team medico. I ricercatori del centro di fertilità hanno analizzato il campione di sperma con il sistema di intelligenza artificiale. Sono stati trovati tre spermatozoi nascosti, recuperati e utilizzati per fecondare gli ovuli della moglie tramite fecondazione in vitro, e lei è diventata la prima donna a ottenere una gravidanza grazie al metodo STAR.
“Un paziente ha fornito un campione e tecnici altamente qualificati lo hanno esaminato per due giorni alla ricerca di spermatozoi.
Non ne hanno trovati.
Abbiamo quindi utilizzato il sistema STAR basato sull'intelligenza artificiale. In un'ora, il sistema ha individuato 44 spermatozoi. In quel momento abbiamo capito che si trattava di una vera e propria rivoluzione, che avrebbe fatto una grande differenza per i pazienti”, ha affermato il dottore Zev Williams, a capo del team di ricerca.
Per comprendere sinteticamente cosa avviene, si pensi che quando un campione di sperma viene posto su un chip appositamente progettato sotto un microscopio, il sistema STAR si collega al microscopio tramite una telecamera ad alta velocità e una tecnologia di imaging ad alta potenza per scansionare il campione, acquisendo oltre 8 milioni di immagini in meno di un'ora per trovare ciò che è stato addestrato a identificare come cellula spermatica.
Attualmente si stima che il partner maschile sia responsabile fino al 40% di tutti i casi di infertilità negli Stati Uniti e che fino al 10% degli uomini affetti da infertilità sia azoospermico.
Il secondo caso, invece, riguarda il cambiamento climatico ed anche qui, come per l’intelligenza artificiale, la narrazione prevalente, il senso comune ormai maggioritario è quello di essere prossimi all’apocalisse. Media e istituzioni talvolta compiacenti diffondono un racconto allarmistico e ansiogeno che ha l’unico risultato di ottundere la capacità di ognuno di noi di analizzare oggettivamente il fenomeno, determinando in questo modo il predominare dei sentimenti e dell’irrazionalità, della paura e del terrore.
Lungi da me negare che vi siano eventi atmosferici e tendenze sicuramente da attenzionare e porre sotto un enorme riflettore, ma ci sono alcuni dati da considerare.
Almeno due.
A giugno di quest’anno, il Financial Times ha pubblicato sulle sue pagine un’anticipazione su come la Commissione Europea sia pronta ad annunciare che l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti del 55% entro il 2030 verrà raggiunto in anticipo rispetto a questa data. E’ un risultato enorme. Allo stesso tempo, anche l’obiettivo del net zero del 2050 è su un’ottima strada e potrebbe essere traguardato in precedenza rispetto alle sue stime originarie.
Il secondo dato riguarda la produzione di energia nell’anno 2024.
Secondo il rapporto del Centro Studi Ember nel 2024 il 40% della complessiva produzione di energia nel mondo è provenuta da fonti a basse o assenti emissioni, in particolare energia idroelettrica e solare. Inoltre, in Europa, il 71% dell’energia elettrica generata nel 2024 è provenuto da fonti pulite (non fossili) ovvero energia solare e nucleare.
Dati che infondono fiducia e ottimismo e dimostrano come, almeno per quanto attiene la “nostra” parte, tutto sta procedendo secondo i piani e gli obiettivi, se non anche meglio.
Dalla scarsissima risonanza di queste storie e di questi dati, appare chiaro come il negativity bias prevalga e rimanga “senso comune”. Ed in un certo senso c’è anche una logica antropologica in questo, essendo connaturato nell’essere umano il senso del pericolo e la predisposizione a volgere l’attenzione verso le notizie negative ovvero ciò che ci minaccia.
Puro istinto di sopravvivenza.
Lo diceva già Sun Tzu che "fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce" proprio sottolineando come eventi negativi, distruttivi o vistosi (come la caduta di un albero) catturino l'attenzione e generino più clamore rispetto a processi positivi, costruttivi e silenziosi (come la crescita lenta di una foresta).
Oggi, però, la notizia della foresta che cresce ci serve, oserei dire, disperatamente. Abbiamo un vitale bisogno di ricominciare a raccontare la e le felicità, le foreste che crescono, le evoluzioni del mondo e le sue svolte positive che esistono e accadono.
Non ci sono solo catastrofi su questo pianeta.
Chiudiamo con la storia di Greg Gulbransen, pediatra di Long Island, sessantadue anni.
Ne fa un ritratto fantastico il New Yorker, raccontando la sua storia. Merita una lettura.
In sintesi, nel 2002, una sera di ottobre, verso le nove e mezza, dopo aver messo a letto suo figlio Cameron, Greg esce chiudendo la porta d'ingresso dietro di sè, per spostare l'auto di famiglia dalla strada al vialetto.
Gulbransen, da persona organizzata e meticolosa, prima di avviare la retromarcia guarda gli specchietti laterali e quello retrovisore. Tuttavia, mentre fa retromarcia, sente un urto vicino alla ruota anteriore. Sportosi, trova a terra suo figlio Cameron, in mezzo ai fari, con in mano la sua coperta blu e tanto sangue dalla testa. Essendo medico, capisce subito che Cameron è morto. Tuttavia, esegue la rianimazione cardiopolmonare, assaggiando il sangue del figlio in bocca.
E’ l’evento che segna la sua intera esistenza.
"Ci sono scale che gli psichiatri usano per quantificare lo stress della vita", ha detto Gulbransen.
"Hai perso il lavoro? Hai divorziato? Ha perso un figlio?". Non si parla nemmeno di 'Hai ucciso il tuo bambino? Non è nemmeno nella lista".
Dopo questa tragedia, Greg stravolge la sua vita. Ma invece di chiudersi in sé stesso, si apre ancora di più verso l'esterno.
Si batte per anni per ottenere una legge che imponesse l'installazione di telecamere di retromarcia su tutte le nuove auto. Il Cameron Gulbransen Kids Transportation Safety Act è stato approvato nel 2008; le telecamere sono diventate obbligatorie nel 2018.
Dalla morte di suo figlio, Greg ha dedicato la sua intera esistenza alla cura di persone in difficoltà. Gira ogni mattina nel Bronx a visitare tossicodipendenti da Fentanyl, portando loro vestiti puliti e colazione. Manda avanti il suo studio pediatrico assistendo bambini affetti da particolari patologie.
"Sentirsi necessario, sentirsi utile, sentirsi importante: mi hanno aiutato a nascondere i demoni” ha detto Greg intervistato dal New Yorker.
Perché cito la storia del dott. Gulbransen?
Perché mi sembra enigmatica e al tempo stesso d’ispirazione per il tema di oggi, ovvero sforzarsi di trovare uno squarcio nella narrazione negativa che oggi è diventata maggioritaria.
Sforzarsi, quasi come esercizio obbligatorio, di identificare e rintracciare le foreste che crescono in tutto il mondo, le persone e le notizie che consentono di credere ancora che, nonostante tutto, stiano accadendo anche cose bellissime in giro per il mondo.
Attenzione, non si tratta di cieco positivismo, non è credere acriticamente che “andrà tutto bene”. Si tratta di leggere la realtà nel suo complesso, sottraendosi - per quanto possibile - alla esclusiva fruizione di narrazioni nefaste e terroristiche e ricercando proattivamente, o creandolo, uno spazio che consenta di coltivare fiducia e ottimismo nel proprio avvenire.
Lo ha fatto persino chi è stato protagonista dell’evento forse più traumatico per un essere umano e soprattutto per un padre, ovvero essere il carnefice del proprio figlio.
Nell'Antico Testamento, quando Giobbe si lamenta del suo destino, un amico gli dice che "l'uomo nasce nei guai come le scintille volano verso l'alto". Tutti noi soffriamo, inevitabilmente, come un fuoco che si spegne.
Ma, qualcosa, da quelle scintille, è ancora nostro dovere crearlo. Oggi.