Il turno del Suriname
La scoperta dei giacimenti petroliferi e minerari pongono il piccolo paese sudamericano davanti ad una svolta: diventare autonomi o rimanere colonia.
Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 119 - 8 giugno 2025
La storia di oggi ci porta direttamente in Suriname, piccolo paese nella parte settentrionale del continente sudamericano, piuttosto povero e molto indebitato. E’ un paese spesso percepito come un attore marginale nel contesto geopolitico e finanziario dell’America Latina.
Nonostante la scarsa attenzione che gli viene riservata, trattasi di un importante produttore emergente di petrolio e una fonte di minerali strategici, tra cui oro e bauxite; di un attore geopoliticamente molto interessante, essendo una roccaforte della presenza commerciale, culturale e politica cinese ed avendo recentemente attirato le mire statunitensi (con la recente visita di Rubio).
E’ anche un Paese di transito per la cocaina destinata all'Europa e un centro di estrazione mineraria illegale con un interno scarsamente popolato, poco controllato e coperto per il 90% dalla giungla.
Il Suriname è un Paese in cui la ricchezza delle risorse naturali, la diversità culturale, la complessità politica, la corruzione e il pericolo formano un arazzo di contraddizioni.
Questa giovane nazione oggi si candida a giocare un ruolo di rilievo nello sviluppo economico regionale. L’espansione dei settori energetico, minerario e agricolo, unita a riforme istituzionali necessarie, offre al Suriname l’opportunità di trasformarsi da economia fragile a nuovo polo di crescita.
Il Suriname è occupato al 90 per cento dalla foresta Amazzonica e ci vivono meno di 700mila persone, con una composizione etnica piuttosto peculiare per la regione, risultato di una storia coloniale finita nel 1975.
Tuttavia, i suoi abitanti contano di diventare molto più ricchi nei prossimi anni, grazie a enormi giacimenti di petrolio scoperti di recente. Le estrazioni inizieranno nel 2028, ma già da adesso i politici locali stanno promettendo soldi “a pioggia” a tutti i cittadini.
Da poco in Suriname si è votato per eleggere i 51 membri del parlamento, che poi sceglieranno presidente e vicepresidente. Gli eletti resteranno in carica per 5 anni e potranno gestire i primi effetti della prossima ricchezza. Finora nelle elezioni si è sempre riflessa la base etnica della popolazione: per questo, non essendoci un’etnia maggioritaria, i governi sono stati spesso di coalizione.
Nel paese ci sono indiani (circa il 27%), discendenti di lavoratori che vennero qui per lavorare nelle piantagioni dopo l’abolizione della schiavitù; indonesiani di Giava (14%), arrivati perché Suriname e Indonesia erano entrambe colonie dei Paesi Bassi; discendenti degli schiavi africani e dei maroon, schiavi fuggiti e poi rimasti nel paese (insieme sono più di un terzo della popolazione); minoranze di popoli indigeni (meno del 4%) e di cinesi (2%, da un’immigrazione recente); una componente importante di meticci (quasi il 15%) e pochissimi eredi dei colonizzatori olandesi.
La lingua ufficiale è l’olandese, la composizione etnica rende il Suriname molto poco “latino” e molto diverso dal Brasile, con cui confina, o dal vicino Venezuela.
È anche un paese dove convivono senza particolari tensioni cristiani, musulmani e induisti.
La politica e l’intero Suriname potrebbero però cambiare parecchio nei prossimi anni: i giacimenti di petrolio scoperti nelle acque territoriali sono stati stimati in 30 miliardi di barili, che ne farebbero uno dei primi 15 paesi al mondo come riserve conosciute.
Il primo di vari siti di estrazione è valso un investimento di 10,5 miliardi di dollari dal gruppo francese TotalEnergies e potrà produrre fra i 200mila e i 500mila barili al giorno. Dovrebbe iniziare la sua produzione nel 2028. Inoltre, la compagnia petrolifera nazionale Staatsolie non ha ancora appaltato il 60% dei blocchi in cui si potrebbe trovare il petrolio, e sta attualmente perseguendo un ambizioso piano in tal senso.
Il paese ha creato un fondo sovrano, simile a quello della Norvegia, per mettere da parte e gestire i ricavi del petrolio (e anche del gas naturale, altra scoperta).
Per capire le proporzioni, si pensi come, nella vicina Guyana, dove qualche anno prima sono stati trovati giacimenti di dimensioni simili, il PIL è cresciuto di circa il 47% l’anno fra il 2022 e il 2024.
Recentemente un programma “Proventi per tutti” è stato annunciato dal presidente uscente Chan Santokhi, del Partito Riformista Progressista, espressione della comunità indiana: dai prossimi mesi l’equivalente di circa 700 euro verrà depositato su nuovi conti di tutti i cittadini del Suriname. Resteranno lì con un interesse del 7% l’anno fino alla messa in funzione del primo pozzo. Santokhi assicura che è solo l’inizio, mentre gli avversari politici lo accusano di voler «comprare i voti».
Esse hanno visto il quasi pareggio tra il Partito Democratico Nazionale (NDP), che ha ottenuto 18 seggi (con 79.544 voti) a discapito del precedente partito politico al governo e il Partito Riformatore Progressista (VHP) giunto secondo quasi a pari merito con 17 seggi (75.983 voti). I partiti minori, ora potenziali kingmaker, hanno ottenuto i restanti 16 dei 51 seggi totali.
Come spiega un articolo del Post, le promesse di un florido futuro si scontrano con un presente piuttosto complicato, a livello economico e non solo. Una persona su cinque vive sotto la soglia della povertà, il dollaro locale rispetto a quello statunitense vale un quarto in confronto a quattro anni fa, l’inflazione è altissima e il debito pubblico è pari al 79% del PIL.
Il Suriname per ora dipende dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che per rinnovarli ha imposto misure di austerità.
In parallelo al potenziale sviluppo economico, il Suriname affronta un quotidiano costellato da diversi problemi. Il paese è una stazione del traffico della cocaina e di altre droghe illegali verso il Nordamerica, soprattutto attraverso il porto della capitale Paramaribo, mentre nell’interno si sono sviluppate diverse miniere illegali (oro e bauxite erano le principali risorse, prima di petrolio e gas).
Grazie alle molte foreste e al poco sviluppo, il Suriname è però uno dei pochi paesi al mondo che assorbono dall’atmosfera più gas serra di quanti ne emettano, e dunque si può dire che non contribuisce al cambiamento climatico. Almeno per ora, poi bisognerà valutare gli impatti dei pozzi e dei conseguenti investimenti in infrastrutture.
Oltre ai debiti con il Fondo Monetario Internazionale, ne ha di ingenti anche con la Cina, con cui le relazioni sono diventate molto strette negli ultimi quindici anni. Si pensi come, solo negli ultimi cinque anni, la cinese Huawei ha fatto notevoli passi avanti nelle infrastrutture di telecomunicazione del Paese; nel frattempo, nel settore del taglio del legname, China Greenhart ha acquisito il controllo diretto e indiretto di notevoli quantità di terreni boschivi nell'interno del Paese.
Inoltre, dall’aprile 2018, il Suriname è stato uno dei primi governi latinoamericani ad aderire alla Belt and Road Initiative cinese e nel 2019 è stato riconosciuto dalla Cina come "partner strategico di cooperazione".
La stessa Cina ha acquisito una presenza significativa nei settori petrolifero e minerario. Nel 2022 sono state cedute le attività minerarie surinamesi da parte di Iamgold alla cinese Zijin per 360 milioni di dollari; nel 2024 la Staatsolie ha assegnato alla Petrochina lo sviluppo dei blocchi 14 e 15 delle riserve petrolifere del Suriname e, infine, è arrivato l'investimento di 426 milioni di dollari da parte della China Aluminum Corporation per una miniera di bauxite nello stesso anno.
Questa “alleanza” ha attirato più attenzioni dopo le scoperte petrolifere: il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ad aprile è stato in visita in Suriname per provare a stabilire relazioni più solide e ridurre l’influenza cinese.
Il Segretario di Stato Marco Rubio, durante la conferenza stampa successiva all'incontro con il Presidente Santokhi, ha osservato che per il Suriname essere un amico, un partner o un alleato "comporta dei vantaggi".
La posizione più favorevole al petrolio dell'amministrazione Trump crea opportunità per una maggiore partecipazione delle aziende statunitensi.
La storia istituzionale del Suriname è segnata da fasi alterne di stabilità e tensioni politiche, con ricorrenti scandali legati alla corruzione e al cattivo uso delle risorse pubbliche.
Il percorso che il Suriname, spesso trascurato, traccerà nelle prossime settimane è incerto. Ma il pericolo più insidioso è interno: la cosiddetta “maledizione delle risorse”. Nessun meccanismo automatico trasforma il petrolio in benessere. Anzi, spesso lo trasforma in debito, corruzione, clientelismo e conflitto.
Diventa allora di fondamentale importanza che il governo appena costituito si impegni a rafforzare lo Stato di diritto, la trasparenza amministrativa e la certezza dei contratti, condizioni imprescindibili per attrarre investitori esteri e garantire una crescita sostenibile.
Soltanto in questo modo il Suriname potrebbe emergere come un attore economico credibile nel panorama regionale e internazionale.