Il sonno dei vivi
L'immobilismo europeo e "I sonnambuli" di Broch alla vigilia della seconda guerra mondiale. Europa, do something!
Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 102 - 23 febbraio 2025
Ciao e bentrovati!
Nel mese di marzo, solo per gli abbonati a pagamento di questa newsletter, arriverà un’edizione speciale di questa newsletter. Partiremo dalla “fine della Storia” che Francis Fukuyama ha profetizzato, sull’assunto che le liberaldemocrazie e l’egemonia americana fossero ormai ineluttabili, per arrivare ai giorni nostri, al caos multipolare e al nuovo disordine globale che in questi giorni sta mostrando scenari inediti e di difficile messa a fuoco. Non mancherà qualche sorpresa.
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“La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno”.
Musica e parole di J. D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti d’America, nel suo discorso pronunciato a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, il 14 febbraio.
Tralasciando le enormi ipocrisie (difficile accettare lezioni sul rispetto del volere degli elettori da chi, insieme al suo attuale Capo, non ha mai riconosciuto l’esito delle elezioni americane del 2020, contribuendo al quasi tentato colpo di stato di Capitol Hill), quello di Vance è stato un discorso denso di elementi su cui riflettere.
Il passaggio sulla “minaccia dall’interno” europea ne è stato, a mio avviso, il punto cruciale.
La relazione di Vance ha anticipato, di qualche ora, lo scenario disvelatosi davanti ai nostri occhi nel corso della settimana appena trascorsa: prima l’annuncio del probabile ritiro degli Stati Uniti dal suo ruolo di garante globale della liberaldemocrazia e il conseguente abbandono degli stati europei al loro destino; poi il vertice di Riyadh tra russi e americani, con la mediazione del governo saudita; infine le parole sprezzanti, umilianti di Donald Trump all’indirizzo di Zelens'kyj e del popolo ucraino.

Per il presidente americano, come scrive Francesco Costa nella sua Newsletter, ogni cosa “è uno scambio, un do ut des, un gioco a somma zero: non esistono valori ma solo opportunità. Affari, transazioni. Se non imbrogli gli altri, gli altri imbroglieranno te. Gli alleati vengono insultati, provocati, umiliati e ricattati proprio perché il loro rapporto di dipendenza con gli Stati Uniti li rende vulnerabili, attaccabili. Gli avversari vanno accarezzati e corteggiati proprio in quanto avversari, e quindi a qualsiasi costo pur di rendere possibili gli affari fin qui impossibili.”
Ad un certo punto, durante la settimana, il Presidente degli Stati Uniti ha trovato il tempo per occuparsi dell’introduzione di una zona a traffico limitato in centro a Manhattan. E lo ha fatto pubblicando questo post sul suo social, Truth:
No, non siamo nel 17° secolo, a scrivere non è Luigi XIV, ma Donald Trump.
È ancora presto per sapere cosa concretamente otterrà Trump con la sua strategia e il suo approccio. Siamo certi che lui continuerà a fare tutto quello che potrà fare e di più.
Ma noi?
Noi, Europa, nel frattempo, cosa abbiamo intenzione di fare?
Non serve nemmeno citare il vertice di Parigi convocato da Macron in fretta e furia, constatata l’inutilità e l’inefficacia degli effetti che ha sortito.
Come spiega Yascha Mounk, dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sono stati garanti della sicurezza e della stabilità in Europa occidentale. Il Piano Marshall ha contribuito a risollevare le economie di Francia e Italia, della Germania occidentale e del Regno Unito dal crollo postbellico.
“Ma se gli europei hanno buone ragioni per essere rattristati, non hanno scuse per essere scioccati. Trump ha reso ampiamente evidenti i suoi sentimenti nei confronti della NATO durante il suo primo mandato. Ha espresso la sua simpatia per Vladimir Putin in innumerevoli occasioni. E per anni è stato profondamente ostile a Zelensky, oltre che estremamente critico nei confronti del sostegno americano all'Ucraina.
Allora perché l'Europa è così impreparata a ciò che sta accadendo?
Perché il pubblico di Monaco era così sorpreso quando Vance ha detto cose che Trump e i suoi più stretti alleati dicono da anni?
Perché i leader europei non sono in grado di dare un sostegno sufficiente all'Ucraina per rendere impossibile alla Russia, all'America o a chiunque altro di fare un accordo sul futuro del Paese senza la loro partecipazione?
Perché, insomma, gli europei sono ancora così incapaci di prendere in mano il destino del continente?
Prendiamo l’Ucraina.
In quasi tre anni di conflitto, i leader politici europei non hanno mai sviluppato un piano per contenere la Russia nel caso in cui una nuova amministrazione americana li avesse davvero abbandonati a se stessi.
Ora ostentano sorpresa, stupore, sfiorando il ridicolo.
Sempre Mounk racconta un aneddoto molto interessante che spiega la, infondata, storica presunzione europea:
“Un paio di settimane fa ho partecipato a una tavola rotonda alla Harvard European Conference [..] Dovevamo parlare di populismo, e lo abbiamo fatto per un po', ma forse inevitabilmente la conversazione si è spostata anche sulle prospettive economiche e geopolitiche del continente. Con mio grande stupore, i miei interlocutori erano molto ottimisti. Un termine a cui erano particolarmente affezionati era l'"Effetto Bruxelles". Secondo questa idea la vera superpotenza dell'Europa è la sua capacità di guidare il mondo in materia di regolamentazione (non è uno scherzo).
Se l'Unione Europea adotta una nuova serie di regole, le aziende lontane dell'Asia o del Nord America che vogliono mantenere l'accesso a uno dei mercati più grandi del mondo dovranno attenersi ai desideri dei burocrati di Bruxelles. Anche quando si tratta di tecnologie all'avanguardia come l'intelligenza artificiale, hanno insistito gli altri membri del mio gruppo, l'Europa rimane una forza con cui il mondo dovrà fare i conti.
Un problema di questa visione è che dimostra una scioccante povertà di ambizioni. Pensare che il ruolo legittimo del continente che ha inventato la stampa, la macchina a vapore, l'automobile e il World Wide Web sia quello di diventare il regolatore capo del mondo ricorda il sogno di un bambino di diventare un controllore di sala. Sebbene questa ambizione possa essere spaventosamente modesta, lo stato attuale del continente la rende del tutto irrealistica.”
Questo aneddoto racconta molto puntualmente come, nel corso di questi anni, l'Europa abbia dimenticato una delle lezioni più fondamentali del proprio passato: o sei tu a plasmare la storia, o è la storia a plasmare te.
Negli ultimi decenni gli stati europei hanno visto costantemente ridimensionato il loro ruolo negli affari mondiali. Le innovazioni tecnologiche più importanti avvengono altrove. La crescita economica oggi si concentra in Asia e in Nord America.
Tuttavia, questo declino della sua importanza è stato gestito con complessiva grazia mista a rassegnazione. Ci si bea del ruolo di regolatore globale, appunto.
Nel frattempo si accetta passivamente il fatto che la voce del Presidente francese o del Cancelliere tedesco conti sempre meno alle Nazioni Unite o al G20. Le imprese europee oggi stanno vedendo sempre più limitata la loro attività a settori tradizionali. Le università europee faticano a mantenere gli standard di quelle americane e mondiali. Ma nel frattempo, nella bolla di Bruxelles si continua a pensare “che la vita in Europa continuerà a essere piacevole, gli europei continueranno a percepire buoni stipendi, a godere di un solido stato sociale, a fare lunghe vacanze, a vivere in belle città e, naturalmente, a godere di istituzioni democratiche”.
Ma la storia è quì per smentirci.
Guardate cosa sta accadendo in Germania, prima potenza industriale del continente europeo, oggi al voto. Mi ha colpito un ottimo reportage pubblicato da Die Zeit che ha incontrato molti uomini e donne tedesche chiedendo loro la motivazione del voto per Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra guidato da Alice Weidel.
Le risposte date dai tedeschi intervistati non sono state l’esaltazione del nazismo e del Terzo Reich, ma, piuttosto, la legittima preoccupazione di uomini e donne che faticano ad ottenere stipendi adeguati per vivere e nuovi punti di riferimento in un contesto globale in forte trasformazione e competizione. Gli operai tedeschi sono scettici in una vera ridistribuzione della ricchezza “perché è da decenni che i governi di tutti gli schieramenti fanno promesse senza che nulla cambi”.
Il tema delle disuguaglianze è il tema centrale nel mondo intero.
In Germania, negli ultimi trent’anni, il tasso di crescita delle famiglie di reddito medio è stato la metà di quello del 10 per cento più ricco. Uno degli intervistati ha fotografato la fine del principio della democrazia rappresentativa, dicendo “di non aspettarsi più niente dai governi. Ormai i lavoratori pensano di poter contare solo su se stessi e vogliono che lo stato li lasci in pace”.
Il reportage di Kerstin Kohlenberg si chiude così:
I democratici moderati devono sbrigarsi a capire come fare per vincere le elezioni in un mondo in cui a volte le sensazioni contano più dei fatti.
L’editoriale del “The Economist” di questa settimana è ancora più brutale nel richiedere una sveglia da parte dei paesi europei.
“The old world needs a crash course on how to wield hard power in a lawless era, or it will fall victim to the new world disorder” (Il vecchio mondo ha bisogno di un corso accelerato su come esercitare il potere duro in un'epoca senza legge, o cadrà vittima del disordine del nuovo mondo).
Insomma direi che le sveglie per interrompere il nostro sonno suonano e suonano in modo piuttosto vigoroso.
Oggi l’Europa può scegliere di stringersi maggiormente alla Cina e alla Russia, in funzione anti-americana. Questa posizione è già popolare tra i governanti di Praga e Budapest e tra molti elettori di Parigi e Berlino. Ma questo rischierebbe di rendere la politica interna europea ancora più vulnerabile ai capricci degli autoritari di tutto il mondo.
Oppure potremmo far finta di nulla, continuando ad esternalizzare la propria sicurezza agli Stati Uniti, perseverando nel “non fare grandi cambiamenti a meno che non si possano evitarli”.
Oppure, ultima opzione, potremmo come Europa riconoscere la necessità di tornare a essere un attore storico a sé stante, ritornando ad investire molto più denaro nel potenziamento delle forze militari, in modo da poter garantire credibilmente la sicurezza del loro continente. Come dice Mounk “bisognerebbe riconoscere che la capacità di stare in piedi da soli è del tutto incompatibile con la rassegnazione a essere il continente dei musei, dei monumenti e della mediocrità”.
Gli europei devono essere in grado di tornare a difendere il proprio continente con le proprie forze. E per farlo, per stare in piedi da sola, l'Europa dovrà tornare ad attrarre startup in grado di competere con la Cina e l'America nelle industrie del futuro, dalle auto elettriche all'intelligenza artificiale. Dovrà tornare a fornire alle università e ai laboratori scientifici finanziamenti sufficienti per competere con i migliori al mondo. Dovrà capire come rinnovare la propria cultura e arrestare il proprio declino demografico.
Gli europei devono smettere di pensare che un passato glorioso sia una garanzia sufficiente per un futuro dignitoso.
Coloro che credono nei valori fondamentali delle società libere e democratiche sono chiamati a riconoscere che il mondo di un tempo è finito per sempre.
Semplicemente non esiste più.
In nessun altro luogo questo è più chiaro che in Europa.
Non possiamo più permetterci di vivere un’illusione.
Hermann Broch, tra il 1931 e il 1932, pubblica "I sonnambuli", una trilogia di romanzi dove descrive, prima della seconda guerra mondiale, il sonno della coscienza collettiva e l'incapacità dell'uomo moderno di reagire di fronte alla disgregazione dei valori, un po' come fanno i sonnambuli che avanzano verso il baratro senza rendersene conto.
Credo non ci sia fotografia migliore per descrivere lo stato attuale del continente europeo. Confuso nella ricerca di nuovi punti di riferimento, smarrito nei cardini della sua identità - anche cristiana - e barcollante nella forza di immaginare un nuovo mondo rispetto a quello vissuto sino ad oggi.
Dopo il romanzo di Broch, scoppiò la seconda guerra mondiale e proprio i “sonnambuli” furono colpevoli di cecità, non vedendola arrivare.
La funzione primaria della storia, e della letteratura, è quella di non far commettere due volte lo stesso errore.