Festival dell'economia 2025 | Part 3
Le considerazioni più interessanti raccolte nella terza giornata del Festival dell'Economia di Trento
Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 117 - 26 maggio 2025
Ed eccoci alla terza ed ultima newsletter speciale sul Festival di Trento.
Una tre giorni che si è confermata anche quest’anno ricca di interesse e di spunti di riflessione attorno ai quali misurare le proprie idee e il proprio pensiero.
La giornata di ieri ha visto il susseguirsi di tre Premi Nobel: da Daron Acemoğlu a Edmund Phelps, con il gran finale della lectio di James Heckman sul calo della fertilità in Italia e nel mondo.
Di seguito, in sintesi, i passaggi più interessanti che ho raccolto.
Grazie per la vostra attenzione in questi tre giorni! Ci leggiamo domenica.
La situazione industriale globale tra USA, Cina ed Europa
Il primo panel della giornata cui ho partecipato ha visto la presenza di diversi CEO di aziende multinazionali che hanno portato la loro esperienza e la loro view sulla situazione economica attuale, tra mercati in ascesa - Cina su tutti - e quelli più in difficoltà - Stati Uniti, nemmeno a dirlo.
Lorenzo Stanca, partner di Mindful Capital, un fondo di private equity che investe soprattutto nelle Piccole e Medie imprese (ovvero società aventi fino a 250 dipendenti) ha sottolineato il peso che queste aziende hanno sul totale delle esportazioni italiane. In Italia - settimo Paese al mondo per esportazioni - le PMI pesano oltre il 50%. Tuttavia, data la loro limitata dimensione, hanno una scarsa capacità di lobby e di influenza sugli orientamenti dei policy maker e questo comporta frequentemente una legislazione più favorevole ad un ristretto numero di operatori più potenti.
Sulla Cina, Stanca ha raccontato come sia diventata un mercato aperto subito dopo l’entrata nel World Trade Organization. Se inizialmente i cinesi volevano soprattutto acquisire know-how tecnologico, oggi il fine dell’apertura al mondo risiede nella volontà di garantire una prosperità più diffusa ed estesa per il popolo cinese.
Sugli Stati Uniti, fino al 2 aprile di quest’anno erano ancora il mercato di sbocco principale. Con la politica impulsiva di Trump e la volontà di rimpatriare diverse produzioni nel territorio americano rischia di minare questo primato.
L’Africa sub-sahariana è cresciuta molto. Sui settori in ascesa nel commercio sicuramente ci sono i beni di consumo in prima linea. I tassi di crescita sono molto significativi, pur rimanendo una geografia complessa. Ad es. per esportare dall’Italia in Africa, il più delle volte serve ingaggiare un mediatore commerciale africano, spesso sudafricano, che faccia da ponte tra l’azienda esportatrice e i consumatori africani locali.
Stefania Di Bartolomeo, CEO di Physis Investment, fintech con sede negli Stati Uniti fotografa come questi, storicamente, hanno sempre sfruttato il potere del dollaro in quanto, essendo un’economia di consumo, l’importazione dei prodotti da altri stati è sempre risultata più conveniente. Per questo negli anni ‘80 importavano macchine dal Giappone e negli anni ‘90 hanno aperto il loro mercato al Canada e al Messico, con tante aziende americane che hanno trasferito le loro produzioni in questi due paesi. Nel 2000 hanno aperto definitivamente il mercato alla Cina facendola entrare nel WTO.
Questo modello contrasta con le recenti decisioni dell’amministrazione Trump considerando come:
la domanda interna americana (ciò che consumano gli americani) non riuscirà mai ad essere soddisfatta esclusivamente tramite la produzione interna.
l’instabilità economica causata dalle decisioni di Trump potrebbe minare la fiducia negli USA e la capacità di attrarre investimenti (gli investimenti in società quotate americane provengono per il 60% da capitali esteri) e capitali, in primis per finanziare il loro enorme debito pubblico (detenuto al 30% da individui non americani).
il tasso di indebitamento americano continuerà a crescere per finanziare la sanità, l’istruzione o le infrastrutture. Il potenziale problema arriverà quando vedremo meno Stati disposti ad acquistare i titoli americani. Ecco perché Trump ha avviato la guerra commerciale e i dazi con l’intento di obbligare - ricattando - gli Stati ad acquistare/finanziare il debito pubblico americano.
Lezione di Edmund Phelps, Premio Nobel per l’economia 2006
Quando c’è una minaccia che potrebbe portare una perdita di occupazione e del livello dei redditi “i governi dovrebbero aumentare la spesa pubblica e tagliare le tasse nonostante la prospettiva di creare deficit fiscale per un certo periodo di tempo, di durata imprecisata”.
La posizione di Phelps è espressa nell’ambito della controversia sull’austerità fiscale (esplosa negli anni della crisi del debito sovrano in Europa) che è stata al centro del dibattito tra gli economisti ai tempi della proposta dell’ex ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis di usare ampi deficit fiscali per stimolare i consumi e finanziare un aumento della spesa pubblica. Phelps ha ricordato che, a quel tempo, la sua obiezione a Varoufakis era legata al timore che l’aumento del debito pubblico avrebbe originato favorito un incremento dei consumi da parte delle persone a scapito del risparmio con un conseguente deterioramento del livello di welfare.
Ecco, in sintesi, i principi economici esposti da Phelps nella sua lezione:
L'importanza dei tassi d’interesse reali
Secondo Phelps, i tassi d’interesse determinati a livello globale hanno un impatto diretto sull’occupazione nazionale. Quando i tassi salgono, le imprese riducono le assunzioni, aumentano i margini e tagliano i costi, generando disoccupazione. È una critica decisa ai modelli keynesiani tradizionali, incapaci – a suo avviso – di spiegare le crisi europee degli anni ’80 e 2010.Contro l’austerità cieca e il deficit eterno
Phelps rifiuta sia l’austerità fiscale come dogma, sia la spinta a deficit pubblici permanenti. A suo giudizio, un aumento del debito pubblico impoverisce il capitale e distorce gli incentivi. Le politiche espansive devono essere temporanee e mirate, non strumenti strutturali.Un’economia per i lavoratori a basso reddito
Tra le sue proposte più influenti vi è il sostegno ai sussidi salariali per incentivare l’occupazione e ridurre le disuguaglianze, come l’EITC negli Stati Uniti. Una politica che promuove l'inclusione senza compromettere la produttività o il mercato del lavoro.Il “buon vivere” non è solo consumo e tempo libero
Phelps critica l’idea di benessere inteso come puro godimento materiale. La sua concezione di mass flourishing – fioritura umana – mette al centro la creatività, l’iniziativa individuale, l’autonomia nel lavoro. Il lavoro, per Phelps, è il luogo in cui le persone si realizzano, esprimono talento e crescono interiormente.
In conclusione, l’economia – per Phelps – non è una questione meramente tecnica, ma etica e culturale: riguarda il tipo di vita che una società offre ai suoi cittadini. È un invito, anche per l’Europa, a ripensare le politiche economiche alla luce di una visione umanista e dinamica del progresso.
La lotta infinita tra potere e progresso nell’era dell’intelligenza artificiale - Daron Acemoglu, Premio Nobel per l’Economia 2024
Acemoglu parte da una constatazione, ovvero che ogni giorno nascono nuove app, nuovi dispositivi, nuove meraviglie digitali. “Negli ultimi anni sono quadruplicati”, dice.
Ma la domanda cruciale resta: a chi va davvero il vantaggio di tutto questo progresso? Il tema - spiega - non è tanto il progresso in sé, quanto chi lo governa e chi ne beneficia.
“Non bisogna lasciarsi abbagliare: è vero, possiamo definirlo un treno della produttività, ma la storia ci insegna che i benefici non si distribuiscono automaticamente”.
Acemoglu evidenzia come oggi, come in passato, il legame tra tecnologia e prosperità non sia affatto automatico. L’ottimismo tecnologico suggerisce che la crescita della produttività porti benessere per tutti: più efficienza, più occupazione, più salari. Eppure, la storia ci mostra una realtà ben più complessa.
Dall’Europa medievale – dove le innovazioni come il mulino non beneficiarono i contadini ma solo il clero e i proprietari terrieri – alla rivoluzione del cotone nel Sud degli Stati Uniti, in cui la ricchezza fu accentrata nei latifondisti schiavisti, la tecnologia ha spesso accentuato le disuguaglianze esistenti.
La rivoluzione industriale inglese, celebrata oggi come motore dello sviluppo moderno, nei suoi primi cento anni vide salari stagnanti e condizioni di lavoro degradate. Il nodo, spiega la teoria economica più recente, non è tanto l’innovazione in sé, ma la natura della tecnologia (automazione vs. complementarità) e l’equilibrio di potere tra capitali e lavoro.
Durante il XX secolo, in particolare tra gli anni ’50 e ’70, salari e produttività crebbero insieme, anche per i lavoratori meno qualificati. Ma dagli anni ’80 in poi, l’automazione ha colpito in modo selettivo: chi svolgeva mansioni facilmente sostituibili ha visto i propri salari stagnare o diminuire. Il potere contrattuale dei lavoratori – eroso anche dal declino dei sindacati, specie negli Stati Uniti – è stato un fattore determinante.
Nel frattempo, la visione di Milton Friedman, secondo cui l’unica responsabilità delle imprese è massimizzare i profitti, ha legittimato pratiche manageriali tese a ridurre i salari in favore degli azionisti. Oggi, il rischio è che l’IA generativa amplifichi queste dinamiche, accentuando la concentrazione del potere nelle mani di pochi attori tecnologici.
Acemoglu afferma come serva una nuova ideologia della tecnologia – non al servizio del controllo e della sorveglianza, ma della simbiosi tra uomo e macchina, in cui l’IA amplifichi la capacità umana, generi nuovi compiti, e renda i lavoratori ancora essenziali. In questo senso, l’istruzione rappresenta un campo cruciale: l’IA può essere strumento straordinario per docenti e studenti, a patto che venga supervisionata e regolata con rigore.
“Dall’istruzione dipende il nostro futuro come esseri umani, certo l’AI può migliorarla rendendo più produttivi i docenti, per diffondere maggiormente la formazione, per automatizzare la didattica, tutto questo è utile, ma le chat bot senza supervisione dell’uomo non insegnano certo il pensiero critico agli studenti, non sempre danno informazioni attendibili”. Inoltre creano o consolidano “cattive abitudini”: Acemoglu allude al rischio di indebolire la ricerca fatta dalle persone, la spinta all’apprendimento che deriva dall’esperienza e dal confronto.
Infine, per evitare che la nuova rivoluzione digitale replichi le storture del passato, sarà decisivo rafforzare le istituzioni: un solido antitrust, accesso ai capitali per le imprese emergenti, sostegno alla ricerca pubblica e una visione europea dell’innovazione, che non scimmiotti il modello americano ma punti a una IA etica, trasparente e partecipativa.
Solo così la tecnologia potrà essere davvero al servizio della prosperità condivisa.
Una provocazione finale: “In Silicon Valley oggi ci sono moltissimi europei. Innovano lì, non qui. Questo dovrebbe far riflettere”.
Il declino della fertilità in Italia e nel mondo - James Heckman, Premio Nobel per l’economia 2000
Sulla guerra commerciale di Trump, Heckman ha dichiarato che “le carte in tavola cambiano ogni giorno, motivo per cui è difficile dire quale sarà l’impatto di lungo termine. L’effetto attuale è l’enorme incertezza che questo pazzo esperimento sta provocando. Non ha senso e non ha logica: sostanzialmente impone dazi e poi fa marcia indietro”. Secondo il Premio Nobel, “le argomentazioni che Trump e la sua amministrazione adducono per giustificare l’imposizione di tariffe sono semplicemente false. È una lettura errata di ciò che sta accadendo”. Trump – ha aggiunto – “promette cose che non può realizzare. Nel 2016, appena eletto, parlò di aprire miniere e riaprire fabbriche chiuse. Non è accaduto nulla di tutto ciò: la tecnologia va in tutt’altra direzione”.
Sul piano demografico, Heckman ha affrontato la questione del calo della fertilità a livello globale. “Fino agli anni Cinquanta, la popolazione mondiale è cresciuta in modo costante ed esponenziale. Poi c’è stato un calo. Il tasso di fertilità è sceso drasticamente tra il 2015 e il 2020, scendendo sotto il tasso di sostituzione (pari a 2,1 figli per donna)”. “Nei Paesi in via di sviluppo, il tasso è ancora relativamente alto, ma in calo, in alcuni casi già sotto la soglia di sostituzione. Questo ha implicazioni rilevanti per la struttura delle famiglie e rappresenta una sfida sociale”, ha osservato Heckman.
Il Premio Nobel ha messo in luce come la transizione demografica sia legata a fattori quali la riduzione dei matrimoni, l’aumento delle convivenze, l’età più avanzata per avere figli, l’aumento dell’aspettativa di vita, un maggiore livello di istruzione, redditi più alti e l’autonomia femminile.
“Tutto ciò ha portato a nascite meno numerose e più tardive, e a un numero crescente di donne che scelgono di non avere figli. Inoltre, le donne oggi sono più impegnate nel mondo del lavoro, hanno più opportunità, più interesse per la carriera e un contesto legale che garantisce loro maggiore uguaglianza e autonomia”, ha affermato.
In conclusione, Heckman ha sottolineato “il ruolo centrale della famiglia nel preservare il tasso di fertilità, tema che ha profonde implicazioni anche sul piano sociale”.
Infine un pensiero per l’Italia: “Gli italiani sono leader in molti campi, nella moda, nell’industria, nella tecnologia. Pensate, per esempio, a Fiat – oggi Stellantis – che anni fa ha comprato Chrysler: Sergio Marchionne, un italiano, ha avuto idee brillanti e ha reso Chrysler molto più produttiva”, ha osservato Heckman, spiegando che “gli italiani sono persone intelligenti, brillanti”. Tuttavia, ciò che manca all’Italia è la capacità di trattenere i propri talenti, che spesso scelgono di emigrare: “Molti giovani e studiosi italiani vanno all’estero, insegnano nelle università statunitensi o britanniche. Questo perché mancano incentivi adeguati alla ricerca, e ciò fa scappare le menti più brillanti. Molti ricoprono ruoli importanti nelle università estere, con stipendi più alti e maggiori possibilità di fare ricerca”.
Heckman ha concluso con una battuta: “Forse ora le cose cambieranno, forse con Trump alla Casa Bianca preferiranno tornare in Italia. Penso sia una possibilità”.